Le banche tradizionali investono in criptovalute
Negli ultimi anni, il mercato delle criptovalute ha visto una crescente attenzione da parte dell’alta finanza e delle banche tradizionali, che stanno cercando di capire come possono trarre vantaggio da questo mercato in rapida evoluzione.
Secondo i dati di un recente rapporto di Chainalysis, una società di analisi dei dati sulle criptovalute, le istituzioni finanziarie hanno investito un totale di 4,5 miliardi di Dollari in criptovalute nel primo trimestre del 2021. Questo rappresenta un aumento dell’11% rispetto al trimestre precedente e dimostra un crescente interesse da parte delle istituzioni finanziarie per questo settore.
Oltretutto, molte grandi banche tradizionali, come JPMorgan e Goldman Sachs, stanno iniziando a offrire servizi di trading di criptovalute ai propri clienti. JPMorgan ha annunciato di aver creato la sua criptovaluta, denominata JPM Coin, che viene utilizzata per facilitare i pagamenti tra le istituzioni finanziarie. Goldman Sachs ha recentemente rilanciato il suo desk di trading di criptovalute dopo averlo chiuso nel 2018.
Inoltre, molte banche centrali stanno considerando l’idea di creare le proprie criptovalute, nota come “CBDC” (Central Bank Digital Currency), che potrebbero sostituire in futuro la moneta fisica. Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), circa il 20% delle banche centrali di tutto il mondo prevede di emettere una CBDC entro la fine del 2023.
Quali sono i motivi che spingono le banche tradizionali ad investire nelle criptovalute?
Il motivo è il debito! Il tema dell’eccessivo indebitamento globale, alla luce dei livelli di leva sempre più elevati, indotti dai salvataggi di liquidità che accentuano i problemi di solvibilità delle banche tradizionali.
La recente crisi delle banche degli Stati Uniti ha messo in luce la complessità del problema, che riguarda l’intera struttura finanziaria del Paese. Un esempio significativo è dato dall’elevata esposizione delle banche ai prestiti per immobili commerciali, in particolare nel settore degli uffici, che sono stati duramente colpiti dalla pandemia e dal passaggio al lavoro a distanza. Secondo Bank of America, le banche statunitensi rappresentano il 68% dei prestiti CRE in essere, molto di più rispetto ai loro omologhi bancari a mega capitalizzazione.
Le banche hanno, inoltre, mostrato una cattiva gestione del rischio di tasso di interesse, investendo in obbligazioni a lungo termine che hanno perso valore quando i tassi di interesse sono aumentati. Inoltre, alcune banche hanno finanziato i loro prestiti CRE a lungo termine prevalentemente con depositi a breve termine, una strategia che è diventata più costosa quando i tassi sono aumentati. Questo ha creato un “disallineamento della durata”, che ha provocato una compressione dei margini di interesse netti, dei coefficienti patrimoniali e, in alcuni casi, problemi di solvibilità accompagnati da difficoltà acute di liquidità.
L’aumento dei tassi di interesse ha messo in evidenza queste criticità, portando al fallimento di alcune banche regionali come la Silicon Valley Bank, che ha esposto i rischi finanziari di altre banche come la First Republic Bank e Credit Suisse. Le piccole banche in particolare hanno verosimilmente accantonato in misura insufficiente per coprire le perdite sui crediti potenziali provenienti da prestiti residenziali e commerciali.
Inoltre, la fiducia degli investitori non sembra essere stata ripristinata, come evidenziato dal grafico che mostra l’ETF S&P Regional Bank e il prezzo del prestatore in difficoltà First Republic Bank.
In questo contesto, il presidente della Fed di St. Louis James Bullard ha minimizzato i rischi di una stretta creditizia che potrebbe precipitare l’economia statunitense in recessione. Tuttavia, il fatto che alcune banche regionali abbiano affrontato problemi simili e che la maggior parte delle società non finanziarie abbia aumentato a dismisura la propria leva, richiede una maggiore attenzione al problema dell’indebitamento globale.
In conclusione, il rischio di una rottura di una “banca ombra” potrebbe portare a un “credit event” più ampio e diffuso, con effetti negativi sull’intero sistema finanziario. È importante prestare attenzione ai segnali di allarme e adottare politiche per prevenire l’eccessivo indebitamento e gestire il rischio di solvibilità.
Come si stanno organizzando le banche per investire in criptovalute:
Il Bitcoin, la principale criptovaluta, ha raggiunto il valore di 30mila dollari per la prima volta dal giugno del 2022, registrando un aumento dell’80% dall’inizio dell’anno. Secondo gli esperti, c’è una maggiore correlazione tra il Bitcoin e l’oro, ed è un paradosso che però le banche convenzionali non si sono fatte sfuggire.
Questa stabilità del Bitcoin e la correlazione con il bene rifugio per eccellenza, ovvero l’oro, potrebbe indicare una maggiore utilità di questa valuta come asset per la diversificazione degli investimenti e per proteggersi dalle fluttuazioni di mercato.
Tuttavia, la natura altamente volatile delle criptovalute comporta comunque dei rischi. Nonostante ciò, l’industria delle criptovalute è considerata un asset molto interessante per gli investitori di tutto il mondo, come dimostrato dagli investimenti delle banche tradizionali a Dubai sulle licenze di criptovalute per evitare la crisi.
Dubai è la piazza più idonea per chi vuole acquisire la propria licenza di scambio di criptovalute, in quanto è anche la sede di Binance e di altri famosi exchange. Attualmente, ci sono tre enti autorizzati al rilascio di licenze di criptovalute a Dubai: la Dubai Airport Free Zone Authority (DAFZA), la zona franca del Centro Multi Commodities di Dubai (DMCC) e l’Abu Dhabi Global Market (ADGM). Tuttavia, il processo di richiesta di una licenza di criptovalute a Dubai è molto rigoroso, con severi controlli KYC e onboarding. Ad esempio, solo il DMCC Crypto Center, aperto nel maggio 2021, ospita circa 100 aziende correlate alle criptovalute, con altre 900 che hanno presentato domanda per una licenza.
Attualmente, ci sono più di 400 aziende di criptovalute che operano negli Emirati Arabi Uniti, ma si prevede che questo numero aumenterà a 1500 entro la fine del 2023, poiché gli Emirati Arabi Uniti intensificano i loro sforzi per espandere l’economia digitale.
Come accedere ad una licenza di criptovalute a Dubai
Tra queste aziende ci sono investitori slegati dalla finanza “classica”, se cosi si può chiamare, ma la maggior parte sono proprio banche tradizionali interessate a diversificare i loro portafogli e diminuire i rischi: ce lo spiega Daniele Pescara della Daniele Pescara Consultancy che per mestiere si occupa di Company Setup, internazionalizzando le società ed i business dei suoi clienti negli Emirati Arabi Uniti, vivendo e operando direttamente da Dubai.
Pescara ha creato una guida completa per tutti gli investitori interessati ad accedere ad una licenza cripto a Dubai permettendo loro di seguire passo a passo tutti i delicati step per ottenere il documento tanto ambito. Grazie all’assistenza spalla a spalla fornita dal suo team, la Daniele Pescara Consultancy si è posizionata nel mercato di riferimento quale ponte tra i più oculati imprenditori italiani, e non solo, e Dubai. Per maggiori informazioni, prenota la tua consulenza.